Lettere

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Caro Vangelli,
che dirti? Le parole aggiunte sono certamente esercizio enfatico, quelle dovute partecipazione motivata, io preferisco offrirti la testimonianza di un amico senza la proliferazione ne l'inevitabile. Già! Cosa dirti? forse della tua saggezza espositiva, della tua convinzione culturale, della tua meditazione lirica, della tua suggestione narrativa. Chissà. Rimane che nella tua arte trovo non tanto ora il graffio, ora l'ironia o il disappunto ma, piuttosto, un'inquietudine mai clamorosa che si muove su spazi indeterminati e in una logica coltivata sui sentieri dell'indistinto. I tuoi segni, la tua ritmica, i tuoi resoconti così espressivi, le tue cadenze mai proclamate, i colori mai sensazionali, magari la fragranza di un raccontare senza contemplare, di un persuadere senza aggredire, di un modulare senza progettare, mi hanno sempre dato la coerenza di uno stile fuori dall'incauta sistemazione della presenza. Un'arte, appunto, nervosa ma egualmente armoniosa se può non sembrare una contraddizione, slegata da scosse scolastiche o da turbolenze formali che però riesce ad irraggiare purezza morale, ampiezza di solitudini. Perché io ti ritengo, caro amico, un solitario che guarda la vita nel silenzio della propria crisi. Le figure che ci rappresenti, i mondi che ci proponi, le immagini senza volto che ci mostri, fino a certe compilazioni astratte, immobili nel loro delirio inferiore, segnano più tensione intellettuale che calma ammissiva. più l'apprensione di una conoscenza tormentata che la supposizione del vero e tutto attraverso l'agitazione di chi vive il dubbio del pensiero critico nell'eremo dei propri sottili fascini estetici. Non vorrei essere retorico ma la tua opera, quasi un ossimoro, è la pulsione, come si dice, di un'anima concitata che attende il respiro della speranza nei solitari deserti dell'intuizione. Forse non è così, magari sei un combattente che vede nei circhi, nei cavalli, nelle sezioni, negli ovuli, nei laghi della memoria estremizzati dalla metafora, il momento decisivo di un conflitto concettuale avvolto dal simbolo, egualmente io ti vedo come un artista che non si fermerà mai davanti ad una certezza. Perché sei un poeta. Solo.
Duccio Travaglia