Lettere

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Caro Antonio,
per anni non ho voluto capire che tu anziché appartenere alla specie umana sei una creatura che abita i cieli: un uccello.
Io mi ostinavo a vederti persona normale, con le tue camicie bianche, i tuoi pantaloni di lino, i vistosi orologi di marca (francese naturalmente) e non facevo caso allo strano lampeggiare dei tuoi occhi, peraltro sempre ben protetti da costosi e raffinati occhiali da sole. E non notavo la strana forma delle tue lunghe braccia ed il modo con il quale qualche volta guardavi il cielo, e quindi rimanevo molto contrariato quando le tue grandi ali, pardon, le tue lunghe braccia, mentre eravamo seduti intorno alla tavola, nello sforzo del decollo verso altitudini sconosciute alla maggior parte dei commensali, rovesciavano bicchieri di vino rosso sulle candide tovaglie di lino di Vittoria o vassoi con maionese fatta in casa sul tappeto più prezioso che abbiamo in salotto. Rimanevo, poi, interdetto per la tua abitudine di coricarti vestito e quindi per la conseguente brevità della tua toilette mattutina.
Molte volte tentai di decantarti l'uso del pigiama da notte. Tu mi guardavi in uno strano modo, con gli occhiali, purtroppo per me. Speravi che io capissi, ma poi eri costretto a spiegarmi che non capivi perché, dovendo infilarti nel letto, dovevi prima spogliarti e quindi rivestirti. Lo trovavi assurdo. Forse hai paura che ti sporchi le lenzuola, chiedevi, va bene vado a letto vestilo, così tu sarai tranquillo: le tue lenzuola resteranno pulite! Ti confesso che in famiglia tutti eravamo, a quei tempi, disorientali.
Le mie figlie, poi, mi contestavano apertamente, perché tu annullavi di colpo vent'anni di buone maniere che io avevo cercato di inculcare loro, a volte anche in modo molto brusco. Nella confusione generale che tu creavi, alla fine tutti, però, eravamo d'accordo sulla bellezza degli ultimi dipinti, che ci avevi portato da Roma. Di fronte alle tue tele in famiglia si accendeva sempre una gara critica. Vittoria rimaneva affascinata dall'eleganza della tua pittura. Elisabetta dal contenuto filosofico, Eleonora dal mistero che pervade le tue composizioni, Umilia dalla forza musicale delle tue sinfonie cromatiche.
Io, distratto dai fatti precedentemente ricordati, venivo accusato all'unisono di scarso amore per l'arte e di insensibilità e ad un certo momento lutti mi guardavate come se fossi stato io quello che era andato a letto vestito di tutto punto, scarpe comprese.
Comunque, caro Antonio, quando abbiamo finalmente capito che tu sei un uccello, un bianco gabbiano, credo, tutto è diventato più chiaro, ed io da quel momento, sono restato affascinato dalla tua logica di vita, dai tuoi costumi. dalle tue abitudini.
La nostra frequentazione, da quel momento, è diventata, per me, istruttiva oltre ogni previsione. Hai tentato di insegnarmi a volare, a ballare, a guardare il mondo dall'alto, a vedere il mare e le città e mi hai fatto notare che, volando alto nel cielo, la luna ci è più vicina e quindi la sua faccia sembra essere più simpatica, più amica ma anche più misteriosa.
Hai tentato di insegnarmi a stare fermo per giorni, appollaiato sull'albero di una nave in navigazione, indifferente al via vai dei marinai, occupati nel quotidiano lavoro. Mi hai parlato del distacco dalle cose, che coincide stranamente con un grande legame con esse, mi hai dimostrato che stando fermi si corre di più che muovendo le gambe, Hai, insomma, dato ragione a Franz Borghese, che mi ripete ogni volta: "Antonio è l'unico, fra noi, che ha capito tutto"!
Ti saluto, caro Maestro, e mi raccomando seguita a votare nei cieli sconfinati della tua pittura, per la tua gioia e per la nostra felicità.
Con affetto
Eligio
Perugia 12 Maggio 1991